martedì 13 maggio 2008

ASPETTI PSICOLOGICI LEGATI ALLA VALORIZZAZIONE DEL TALENTO


Si discute molto in questo periodo sul futuro dei settori giovanili. La legge Bosman ha creato uno scompiglio generale. Mille paure stanno attanagliando gli addetti ai lavori, in quanto pare evidente che se non si trovano nuove strategie può divenire molto difficile per i club trovare interesse ad investire sui giovani.
Ad onor del vero però questa situazione é stata anche conseguenza della mancanza di lungimiranza da parte dell’istituzione calcistica italiana Come al solito non vi é stata da parte degli addetti ai lavori la capacità di prevedere gli effetti di una legge che già da anni era nell’aria. Solo la miopia di chi ha gestito il calcio italiano nell’ultimo decennio non ha permesso che le nostre società potessero prepararsi ad un cambiamento che rende comunque giustizia al concetto che prima di tutto il calciatore é una persona e poi un atleta.
Ora dobbiamo capire che non si può più sbagliare. E’giunto il momento di comprendere che se prima potevamo gettare alle ortiche anche qualche talento, che tanto la nostra terra calcistica era talmente fertile da proporcene con una generosità smisurata tanti altri, ora questo lusso non possiamo più permettercelo.
La riflessione deve essere profonda, soprattutto in merito a quelli che sono i cambiamenti da mettere in atto al fine di poter permettere, ad un numero sempre più cospicuo di soggetti, di estrinsecare quelle doti naturali che, solo attraverso un ambiente ed un educazione adeguata, permettono al talento di realizzarsi e divenire calciatore di alto livello.
Una società sportiva che vuole veramente essere in grado di valorizzare il materiale umano di cui dispone deve comprendere quali devono essere le caratteristiche ambientali necessarie a far maturare quei ragazzi che manifestano delle buone attitudini al gioco del calcio. Troppo spesso la cultura calcistica di questi ultimi anni ha dato troppo importanza ,anche nella valutazione del giovane calciatore, ad aspetti tecnico atletici, trascurando quegli elementi di carattere e personalità, che poi, in realtà, sono invece determinanti per una buona riuscita della professione di calciatore.
Questo ci fa dire come troppo spesso ci si é preoccupati di migliorare e valorizzare gli aspetti legati alla tecnica alla tattica e alla preparazione atletica, senza cercar di formare anche sul versante caratteriale.
Di fatto nella moltitudine dei talenti che il nostro calcio ha saputo proporre emerge una costante. Troppo spesso colui che ha doti tecniche eccelse, che ha grandi doti naturali d’intelligenza calcistica, molto spesso denota grandi lacune in merito allo spirito di sacrifico ed alla capacità di dare il massimo anche sul versante atletico. Quante volte abbiamo sentito dire in riferimento ad un calciatore :”Ha due piedi d’oro, sa incantare con mille magie, ma non si sa sacrificare per la squadra”. In queste parole emerge uno dei più grossi limiti culturali dei nostri settori giovanile. Purtroppo quando in una società sboccia il campioncino, non ci si rende conto che nei suoi confronti non si deve pretendere di meno, a livello d’impegno, rispetto a coloro che meno dotati devono sudarsi le proverbiali sette camice per conquistarsi un posto in squadra.
Troppo spesso il campioncino può permettersi di vivere di rendita grazie al talento e quindi risparmiarsi nell’impegno e nella correttezza comportamentale, tanto il posto in squadra sarà garantito ed il risultato della prestazione anch’esso. Il problema però é che se non si comincia a far capire a questo soggetto che non é sufficiente avere dei numeri per poter emergere a livello professionistico, quando questo soggetto si troverà a dover entrare nel mondo del calcio d’élite, dove nemmeno un Maradona potrebbe permettersi di esimersi dall’impegno e dal sacrificio, questo soggetto vivrà un trauma perché forse non riuscirà nemmeno a capire, non essendo stato educato a questo, cosa l’allenatore gli chiederà.
L’errore che si deve cercar di evitare nel modo più assoluto é quello di creare un ambiente ovattato intorno al talento. Non lo si deve soffocare nella bambagia, si deve creare intorno a lui una dinamica educativa in cui vi sia un equilibrio tra stimoli gratificanti e frustranti. Troppo spesso questi ultimi vengono tenuti lontano dal piccolo campione, quasi temendo che possano incrinare lo splendore di un gioiello che però per poter brillare deve essere lucidato, qualche volta anche con energia. Quando parliamo di tempi che cambiano ci riferiamo anche ad un dato di fatto. Fino a qualche anno fa arrivavano ai massimi livelli dei soggetti molto dotati calcisticamente, ma che forse potevano anche non avere una forte personalità e magari anche elementi di fragilità caratteriale. Oggi non é più così. Non si arriva a giocare in squadre di grido, per capirci come il Milan e la Juventus o in nazionale, se non si ha una personalità ben strutturata. Una personalità forte che permetta al soggetto di superare le mille difficoltà che il calcio di alto livello propone.
La rivalità esasperata per il posto in squadra, conseguenza anche dell’allargamento delle rose, e quindi la necessità di non farsi prendere dalla disperazione quando magari per un certo periodo l’allenatore ti fa giocare poco, le pressioni esterne, gli infortuni sono tutte realtà che richiedono al calciatore una forza interiore non comune, che ci porta a dire che per poter stare ai massi livelli per anni prima si deve essere uomini e poi calciatori.
E’ chiaro quindi che il ragazzino che dimostra dimestichezza con la palla deve essere seguito molto seriamente al fine di crescere soprattutto come uomo, perché altrimenti rischia di perdersi nel nulla vanificando quindi anche l’investimento della società.



La competenza di coloro che lavorano con i giovani diviene sempre di più un fattore determinante nella possibilità di valorizzazione del talento sportivo. Conoscenze in merito alla psicologia dell’età evolutiva, di psicologia di gruppo e scienze della comunicazione devono essere il terreno culturale su cui formare il ruolo del tecnico moderno.
Credo sia giunto il momento anche di fare una riflessione in merito al modello organizzativo del nostro calcio giovanile, un modello che sta in piedi soprattutto sul volontariato. Penso che questo modello debba essere ridiscusso soprattutto per quel che riguarda il ruolo di colui che lavora a diretto contatto con i giovani, ovvero l’istruttore di giovani calciatori. Per tanto volonteroso e appassionato che sia, fin tanto che il parametro di scelta dell’istruttore é quello della gratuità della sua prestazione, dobbiamo renderci conto che non possiamo nemmeno pretendere che questa persona possa essere un super esperto di problematiche educative. Quello che fa e ha fatto fino ad oggi é fin troppo. Basti pensare poi come troppo spesso anche ai corsi regionali per Istruttore di giovani calciatori la professionalità dei docenti, eccetto tecnica calcistica che é coordinata da Coverciano, viene anche qui ad essere molto sfumata. Purtroppo come principale parametro per la scelta dei docenti vi é quello della gratuità della loro collaborazione, nonostante gli allievi paghino cifre ragguardevoli per iscriversi ai corsi. E’ chiaro che se vogliamo veramente crescere e soprattutto crediamo che il talento per poter sbocciare nella sua limpidezza richiede intorno a se un ambiente idoneo non possiamo più permetterci di lasciare il meglio del nostro prodotto calcistico in mano a dei dilettanti, con tutto il rispetto, ribadiamo, per queste persone. Occorre, come avviane per esempio in Svizzera, che si riconosca a queste persone un ruolo professionale e quindi anche un ritorno economico.
Nella valorizzazione del talento sportivo la figura del tecnico gioca un ruolo determinante. La conoscenza delle conflittuali problematiche adolescenziali, la capacità di valorizzazione di aspetti quali la creatività e la fantasia del soggetto, richiedono delle conoscenze molto approfondite.L’istruttore deve essere in grado di capire in profondità le motivazioni del giovane calciatore e quindi proporgli un percorso educativo che gli permetta di maturare, ma anche gratificare quelle che sono le motivazioni più profonde. D’altro canto il tecnico deve saper anche mediare, ed a volte smorzare, la tendenza ad essere prima donna da parte del giovane talento, spesso anche a causa delle forti aspettative che vengono proiettate su di lui dai genitori e dai dirigenti.Il ruolo dei genitori é anch’esso determinante al fine di una efficace valorizzazione del talento calcistico. Troppo spesso i genitori costruiscono intorno al ragazzo una gabbia fatta di sogni e speranze che impediscono al soggetto di vivere l’esperienza sportiva con serenità. Un grande allenatore del passato come Fulvio Bernardini diceva in merito:”Per poter diventare un fuoriclasse il giovane talento non deve mai sapere di esserlo e soprattutto nessuno glielo deve mai dire”.

1 commento:

Professione Psicologo ha detto...

La psicologia nello sport credo sia uno dei campi più stimolanti e gratificanti per un professionista. Se ritieni che la psicologia possa dare un notevole contributo nello sport come in altri campi del vivere quotidiano, dai il tuo contributo alla causa di Professione Psicologo.