martedì 29 dicembre 2009

Il leader nel calcio

Nello sport di squadra il senso comune ritiene erroneamente che il leader debba identificarsi nell’ allenatore o nel capitano e qualche volta nel campione più affermato. Nella realtà però non é sempre così. Molto spesso si tende a ritenere che l’allenatore possa essere il vero leader della squadra, in quanto - di fatto - ha compiti organizzativi e di conduzione del gruppo stesso.

Il vero problema però é che molto spesso l’allenatore non é riconosciuto come leader dalla squadra ed allora viene declassato al ruolo di capo, un ruolo che per essere esercitato non richiede l’accettazione emotivo affettiva dei membri del gruppo. Lo stesso dicasi per il capitano, se viene nominato tenendo conto di valori diversi da quelli del gruppo. Infatti, sovente, il capitano é colui che ha più presenze in campo con la maglia della squadra, oppure é il più anziano

Per un gruppo possedere un leader dal quale farsi guidare, soprattutto nei momenti difficili, é di vitale importanza per arrivare ad ottenere i risultati che il gruppo stesso desidera raggiungere. Il leader é l’elemento che aiuta a valorizzare le potenzialità dei singoli: il fulcro, intorno al quale, le varie individualità si fondono nella ricerca di quello spirito cooperativo che é ingrediente essenziale per il successo di una squadra di calcio

Chi ha pratico uno sport di gruppo sa che nella squadra non tutti hanno le stesse doti di carisma. Infatti vi sono soggetti che amano restare defilati, altri che sono portati a farsi guidare e qualcuno invece che dimostra delle doti spiccate da trascinatore.

La ricerca sul problema della leadership tra i membri del gruppo si sono fondate principalmente su due presupposti:

· La posizione del leader sul terreno di gioco.

· Le qualità e gli elementi di personalità del leader stesso.

In merito alla posizione sul campo, ed alle correlazioni conseguenti con la possibilità di essere leader, la ricerca é stata abbastanza copiosa di risultati.

Queste ricerche hanno avvalorato l’ipotesi teorica secondo la quale la centralità della posizione in campo é importante nel determinare la guida affettiva della squadra. Per esempio il “ battitore “ nella pallavolo,il “quarterback “ nel football americano, “ il centrocampista/ regista” nel calcio, il “centroboa” nella pallanuoto etc.

Su queste ipotesi ha lavorato Grusky, che anche rilevato come coloro che hanno questo tipo di ruolo sono poi anche più predisposti a divenire nel post carriera dei manager dello stesso sport.

La leadership é comunque un elemento dinamico che integra molti altri elementi oltre a quello della posizione sul campo, in particolare la personalità .

La regolarità delle prestazioni, l’esperienza di squadra, l’ascendente sui compagni, possono certamente essere discriminanti più forti rispetto alla posizione sul campo di gioco.

Nel momento che i leader - per essere tali - hanno bisogno di gregari, una semplice osservazione dei comportamenti della squadra o del gruppo, rileverà la scena d’azione dei leader e dei gregari stessi.

Gli atleti più giovani, che sono da poco nel gruppo, risultano tendenzialmente più portati a seguire il parere, le opinioni dei più esperti (B.J.Cratty e R.E. Pigott ).

In linea generale i leader sono quelli che vengono vissuti dai compagni di squadra come competenti, abili, determinati nel condurre la formazione verso la conquista del successo, ma anche capaci di creare buoni rapporti interpersonali con i compagni e l’allenatore.

Chi ha più possibilità di essere riconosciuto come leader deve avere un personalità particolare. Questo tipo di soggetto deve possedere prima di tutto un buon livello di autostima. Essere consapevole del suo valore come persona, ma anche come calciatore, al punto da riconoscersi la capacità di dare suggerimenti e scelte d’indirizzo ai suoi compagni. Il leader non può essere troppo egoista ne tantomeno esageratamente narcisista.

Lo spirito cooperativo deve essere un elemento di base su cui fondare il rapporto con i compagni. Chi anche sul campo dimostra di essere troppo egoista, magari esageratamente ” driblomane “, difficilmente verrà riconosciuto come elemento guida del gruppo.

L’intelligenza e la sensibilità sono due doti fondamentali per poter sperare di essere un buon leader. Il vero leader é quello che riesce a condizionare in positivo l’umore della squadra sia in campo che fuori. E’un soggetto che reagisce con grinta davanti alle difficoltà e questa sua caratteristica di personalità da sicurezza ai più fragili.

Spesso un domanda che ci viene posta in merito é: ma é indispensabile avere un leader ?

La risposta può essere questa. L’esperienza ci dice di si, nel senso che senza leader una squadra non riesce a superare le mille difficoltà alle quali deve fare fronte. Se invece privilegiamo un approccio al ragionamento di tipo teorico possiamo tranquillamente affermare che se tutti i soggetti fossero forti, sicuri, motivati e in grado di affrontare la realtà nel migliore dei modi non ci sarebbe bisogno del leader, che possiamo definire un buon pastore che guida il gregge. Questo approccio però ha molto il sapore di utopia. Per poter fare senza leader dovremmo avere tanti “super uomo” . Super uomo inteso nella concezione di F.Nietzsche: dove il super uomo é colui che riesce ad andare oltre se stesso, a superare i suoi limiti e gli egoismi individuali per assurgere alla capacità di costruire con gli altri. Una situazione che spesso crea problemi in una squadra é la presenza di quello che viene definito il leader negativo. E’ un soggetto che per conquistare un ruolo di primo piano nel gruppo cerca di far gioco sulle insoddisfazioni di alcuni membri del gruppo. E’ una figura molto pericolosa perché ha come fine il fallimento degli obiettivi di gruppo. Spesso é un soggetto presuntuoso che non si sente sufficientemente considerato, che magari gioca anche poco, e che come un vero e proprio serpente striscia e cerca di colpire spesso in modo anche un pò vigliacco. Divenendo il capo dei nemici dell’allenatore e quando le cose precipitano, non arrivano I risultati, assume il ruolo del capo dei rivoltosi contro l’allenatore.

Molti si chiedono se l’allenatore possa divenire il vero leader del gruppo. Personalmente credo che sia molto difficile. Primo perché l’allenatore é un capo che viene investito di questo potere da un’autorità superiore (la società) e che quindi non viene scelto dal gruppo. In secondo luogo perché troppo spesso ha in mano il potere di gratificare o meno le motivazioni dei singoli.

Un aspetto determinante del lavoro dell’allenatore é quello di conoscere ed essere in grado di far eseguire programmi tecnico/tattici ai calciatori.

Il ruolo dell’allenatore deve contemplare delle abilita di comando e direzione, quindi deve essere un capo.

Secondo Martens la leadership é semplicemente la capacità di saper dare ad altri un piano di lavoro, una direttiva, avendo una visione delle possibilità e delle mete.

L’autorità é una caratteristica determinante nella gestione del gruppo. Essa per poter essere positivamente esercitata, evitando di tradurla in autoritarismo, deve da prima venir riconosciuta dal gruppo stesso.

Il riconoscimento dell’autorevolezza e della competenza del tecnico da parte del gruppo è la condizione indispensabile perché possa venir accettato come leader.

In pratica l’allenatore deve conquistarsi prima di tutto la fiducia, dopo di che il gruppo scegliere di farsi guidare da lui. Possiamo dire che una situazione frequente é quella nella quale troviamo un allenatore che viene accettato come “ condottiero”, quindi gli viene riconosciuta una competenza tecnico tattica, ed un leader emotivo che invece appartiene al novero dei giocatori.

Troppo spesso molti allenatori arrivando in una squadra tendono a porsi nei confronti degli atleti con una atteggiamento autoritario, che non tiene conto che prima di tutto é necessario farsi conoscere dal gruppo, per superare un fisiologico atteggiamento di diffidenza iniziale.

Se un gruppo rifiuta un allenatore difficilmente questo riuscirà a sopravvivere per lungo tempo in quella squadra, perché prima o poi nasceranno situazioni conflittuali molto forti. Un aspetto molto importante é quello del rapporto tra leader ed allenatore. Un allenatore quando capisce quale é il leader del gruppo deve mantenere con questo un rapporto privilegiato. Migliore sarà il rapporto tra il leader e l’allenatore e più positivo anche quello tra il mister e la squadra. Se il leader condividerà la filosofia del tecnico diverrà automaticamente un suo alleato ed userà il suo ascendente sul gruppo per aiutare l’allenatore.

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martedì 13 maggio 2008

ASPETTI PSICOLOGICI LEGATI ALLA VALORIZZAZIONE DEL TALENTO


Si discute molto in questo periodo sul futuro dei settori giovanili. La legge Bosman ha creato uno scompiglio generale. Mille paure stanno attanagliando gli addetti ai lavori, in quanto pare evidente che se non si trovano nuove strategie può divenire molto difficile per i club trovare interesse ad investire sui giovani.
Ad onor del vero però questa situazione é stata anche conseguenza della mancanza di lungimiranza da parte dell’istituzione calcistica italiana Come al solito non vi é stata da parte degli addetti ai lavori la capacità di prevedere gli effetti di una legge che già da anni era nell’aria. Solo la miopia di chi ha gestito il calcio italiano nell’ultimo decennio non ha permesso che le nostre società potessero prepararsi ad un cambiamento che rende comunque giustizia al concetto che prima di tutto il calciatore é una persona e poi un atleta.
Ora dobbiamo capire che non si può più sbagliare. E’giunto il momento di comprendere che se prima potevamo gettare alle ortiche anche qualche talento, che tanto la nostra terra calcistica era talmente fertile da proporcene con una generosità smisurata tanti altri, ora questo lusso non possiamo più permettercelo.
La riflessione deve essere profonda, soprattutto in merito a quelli che sono i cambiamenti da mettere in atto al fine di poter permettere, ad un numero sempre più cospicuo di soggetti, di estrinsecare quelle doti naturali che, solo attraverso un ambiente ed un educazione adeguata, permettono al talento di realizzarsi e divenire calciatore di alto livello.
Una società sportiva che vuole veramente essere in grado di valorizzare il materiale umano di cui dispone deve comprendere quali devono essere le caratteristiche ambientali necessarie a far maturare quei ragazzi che manifestano delle buone attitudini al gioco del calcio. Troppo spesso la cultura calcistica di questi ultimi anni ha dato troppo importanza ,anche nella valutazione del giovane calciatore, ad aspetti tecnico atletici, trascurando quegli elementi di carattere e personalità, che poi, in realtà, sono invece determinanti per una buona riuscita della professione di calciatore.
Questo ci fa dire come troppo spesso ci si é preoccupati di migliorare e valorizzare gli aspetti legati alla tecnica alla tattica e alla preparazione atletica, senza cercar di formare anche sul versante caratteriale.
Di fatto nella moltitudine dei talenti che il nostro calcio ha saputo proporre emerge una costante. Troppo spesso colui che ha doti tecniche eccelse, che ha grandi doti naturali d’intelligenza calcistica, molto spesso denota grandi lacune in merito allo spirito di sacrifico ed alla capacità di dare il massimo anche sul versante atletico. Quante volte abbiamo sentito dire in riferimento ad un calciatore :”Ha due piedi d’oro, sa incantare con mille magie, ma non si sa sacrificare per la squadra”. In queste parole emerge uno dei più grossi limiti culturali dei nostri settori giovanile. Purtroppo quando in una società sboccia il campioncino, non ci si rende conto che nei suoi confronti non si deve pretendere di meno, a livello d’impegno, rispetto a coloro che meno dotati devono sudarsi le proverbiali sette camice per conquistarsi un posto in squadra.
Troppo spesso il campioncino può permettersi di vivere di rendita grazie al talento e quindi risparmiarsi nell’impegno e nella correttezza comportamentale, tanto il posto in squadra sarà garantito ed il risultato della prestazione anch’esso. Il problema però é che se non si comincia a far capire a questo soggetto che non é sufficiente avere dei numeri per poter emergere a livello professionistico, quando questo soggetto si troverà a dover entrare nel mondo del calcio d’élite, dove nemmeno un Maradona potrebbe permettersi di esimersi dall’impegno e dal sacrificio, questo soggetto vivrà un trauma perché forse non riuscirà nemmeno a capire, non essendo stato educato a questo, cosa l’allenatore gli chiederà.
L’errore che si deve cercar di evitare nel modo più assoluto é quello di creare un ambiente ovattato intorno al talento. Non lo si deve soffocare nella bambagia, si deve creare intorno a lui una dinamica educativa in cui vi sia un equilibrio tra stimoli gratificanti e frustranti. Troppo spesso questi ultimi vengono tenuti lontano dal piccolo campione, quasi temendo che possano incrinare lo splendore di un gioiello che però per poter brillare deve essere lucidato, qualche volta anche con energia. Quando parliamo di tempi che cambiano ci riferiamo anche ad un dato di fatto. Fino a qualche anno fa arrivavano ai massimi livelli dei soggetti molto dotati calcisticamente, ma che forse potevano anche non avere una forte personalità e magari anche elementi di fragilità caratteriale. Oggi non é più così. Non si arriva a giocare in squadre di grido, per capirci come il Milan e la Juventus o in nazionale, se non si ha una personalità ben strutturata. Una personalità forte che permetta al soggetto di superare le mille difficoltà che il calcio di alto livello propone.
La rivalità esasperata per il posto in squadra, conseguenza anche dell’allargamento delle rose, e quindi la necessità di non farsi prendere dalla disperazione quando magari per un certo periodo l’allenatore ti fa giocare poco, le pressioni esterne, gli infortuni sono tutte realtà che richiedono al calciatore una forza interiore non comune, che ci porta a dire che per poter stare ai massi livelli per anni prima si deve essere uomini e poi calciatori.
E’ chiaro quindi che il ragazzino che dimostra dimestichezza con la palla deve essere seguito molto seriamente al fine di crescere soprattutto come uomo, perché altrimenti rischia di perdersi nel nulla vanificando quindi anche l’investimento della società.



La competenza di coloro che lavorano con i giovani diviene sempre di più un fattore determinante nella possibilità di valorizzazione del talento sportivo. Conoscenze in merito alla psicologia dell’età evolutiva, di psicologia di gruppo e scienze della comunicazione devono essere il terreno culturale su cui formare il ruolo del tecnico moderno.
Credo sia giunto il momento anche di fare una riflessione in merito al modello organizzativo del nostro calcio giovanile, un modello che sta in piedi soprattutto sul volontariato. Penso che questo modello debba essere ridiscusso soprattutto per quel che riguarda il ruolo di colui che lavora a diretto contatto con i giovani, ovvero l’istruttore di giovani calciatori. Per tanto volonteroso e appassionato che sia, fin tanto che il parametro di scelta dell’istruttore é quello della gratuità della sua prestazione, dobbiamo renderci conto che non possiamo nemmeno pretendere che questa persona possa essere un super esperto di problematiche educative. Quello che fa e ha fatto fino ad oggi é fin troppo. Basti pensare poi come troppo spesso anche ai corsi regionali per Istruttore di giovani calciatori la professionalità dei docenti, eccetto tecnica calcistica che é coordinata da Coverciano, viene anche qui ad essere molto sfumata. Purtroppo come principale parametro per la scelta dei docenti vi é quello della gratuità della loro collaborazione, nonostante gli allievi paghino cifre ragguardevoli per iscriversi ai corsi. E’ chiaro che se vogliamo veramente crescere e soprattutto crediamo che il talento per poter sbocciare nella sua limpidezza richiede intorno a se un ambiente idoneo non possiamo più permetterci di lasciare il meglio del nostro prodotto calcistico in mano a dei dilettanti, con tutto il rispetto, ribadiamo, per queste persone. Occorre, come avviane per esempio in Svizzera, che si riconosca a queste persone un ruolo professionale e quindi anche un ritorno economico.
Nella valorizzazione del talento sportivo la figura del tecnico gioca un ruolo determinante. La conoscenza delle conflittuali problematiche adolescenziali, la capacità di valorizzazione di aspetti quali la creatività e la fantasia del soggetto, richiedono delle conoscenze molto approfondite.L’istruttore deve essere in grado di capire in profondità le motivazioni del giovane calciatore e quindi proporgli un percorso educativo che gli permetta di maturare, ma anche gratificare quelle che sono le motivazioni più profonde. D’altro canto il tecnico deve saper anche mediare, ed a volte smorzare, la tendenza ad essere prima donna da parte del giovane talento, spesso anche a causa delle forti aspettative che vengono proiettate su di lui dai genitori e dai dirigenti.Il ruolo dei genitori é anch’esso determinante al fine di una efficace valorizzazione del talento calcistico. Troppo spesso i genitori costruiscono intorno al ragazzo una gabbia fatta di sogni e speranze che impediscono al soggetto di vivere l’esperienza sportiva con serenità. Un grande allenatore del passato come Fulvio Bernardini diceva in merito:”Per poter diventare un fuoriclasse il giovane talento non deve mai sapere di esserlo e soprattutto nessuno glielo deve mai dire”.